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Reati associativi e 231: una novità giurisprudenziale

Uno spunto interessante (e preoccupante) sulla responsabilità dell’ente per reati associativi è rinvenibile nell’ordinanza della Corte d’Assise di Taranto del 4 ottobre 2016.

Tale provvedimento è stato già segnalato nelle riviste specializzate perché sembra riaprire la questione dell’ammissibilità della costituzione di parte civile nei confronti dell’ente imputato, che sembrava ormai chiusa (in quanto esclusa dalla prevalente giurisprudenza e, in particolare, da Cass., sez. VI, 5 ottobre 2010, n. 2251 ).

Voglio invece evidenziare che la medesima ordinanza, seppur in maniera estremamente sintetica (e, appunto, in relazione alle eccezioni difensive sulle richieste di costituzione di parte civile), si discosta da altra sentenza relativa al procedimento ILVA (Cass., Sez. VI, 24 gennaio 2014 n. 3635) secondo cui la rilevanza di fattispecie non previste dal d.lg. 231 non può essere indirettamente recuperata, ai fini della individuazione del profitto confiscabile, nella diversa prospettiva di una loro imputazione quali delitti-scopo del reato associativo contestato,

 

 

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poiché in tal modo la norma incriminatrice di cui all’articolo 416 c.p. – essa, sì, inserita nell’elenco dei reati-presupposto ex cit. Decreto Legislativo, articolo 24 ter, a seguito della modifica apportata dalla Legge 15 luglio 2009, n. 94, articolo 2 – si trasformerebbe, in violazione del principio di tassatività del sistema sanzionatorio contemplato dal Decreto Legislativo n. 231 del 2001, in una disposizione “aperta”, dal contenuto elastico, potenzialmente idoneo a ricomprendere nel novero dei reati-presupposto qualsiasi fattispecie di reato, con il pericolo di un’ingiustificata dilatazione dell’area di potenziale responsabilità dell’ente collettivo, i cui organi direttivi, peraltro, verrebbero in tal modo costretti ad adottare su basi di assoluta incertezza, e nella totale assenza di oggettivi criteri di riferimento, i modelli di organizzazione e di gestione previsti dal citato Decreto Legislativo, articolo 6, scomparendone di fatto ogni efficacia in relazione agli auspicati fini di prevenzione.

Ebbene, l’ordinanza in commento si pone in dissenso con la precedente sentenza, in quanto, a suo parere

una tale interpretazione contrasterebbe con il dettato normativo dell’art 24-ter (…) che stabilisce, appunto, come in relazione alla commissione di taluno dei delitti di cui agli articoli 416, sesto comma, 416-bis, 416-ter e 630 del codice penale, ai delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo 416-bis ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, nonchè ai delitti previsti dall’articolo 74 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, si applica la sanzione pecuniaria da quattrocento a mille quote, senza ulteriormente specificare che i reati-fine dell’associazione debbano ricondursi a quelli di cui al catalogo dei reati-presupposto già inseriti nel d.lgs. 231/2001.

Secondo l’ordinanza tale interpretazione va seguita,

atteso che, come è noto, il delitto di associazione per delinquere è esso stesso un delitto che lede un bene giuridico ben definito, ossia l’ordine pubblico che nelle accezioni più moderne ed accreditate può e deve essere inteso anche nel senso economico.

Insomma, il tema del reato associativo – o meglio del perimetro della sua imputabilità ad un ente collettivo – resta ancora aperto: aspettiamoci novità…

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Qui il testo dell’ordinanza con nota di commento di Riccardi.

Fonte: Avv. Maurizio Arena

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